Giovedì 23 Maggio 2013, i ragazzi della nostra compagnia teatrale "Benedetti Ragazzi" hanno presentato "Peter" al Teatro President di Piacenza.
Tratto da "Peter Pan, il bambino che non voleva crescere" di James M. Barrie e diretto da Maurizio Caldini, lo spettacolo rappresenta l'esito del laboratorio teatrale degli allievi delle prime 3 classi A.S. 2012-2013 del nostro Liceo. Realizzato con il supporto degli insegnanti Giulio Boledi e Valentina Gobbi.
Un anno fa, al termine dello spettacolo “Il Cammino di Jean Valjean”, un’alunna di prima diceva: “È stata un emozione indescrivibile. Questo laboratorio di teatro ci ha portati a creare qualcosa di nostro. All’inizio mi sembrava qualcosa di noioso, un piccolo passatempo... ancora non sapevo cosa avremmo trovato alla fine del percorso, nel profondo di noi stessi.” PERCORSO, appunto. È netta, infatti, la sensazione che il “laboratorio” teatrale iniziato l’anno scorso sia stato “solo” il punto d’avvio di una strada che i ragazzi, con fiducia, hanno intrapreso. Una strada alla scoperta di se stessi che non poteva certo esaurirsi lì, ma doveva necessariamente attraversare nuove frontiere. In un mondo dove sembrano essersi persi il centro e la meta, la scuola, spesso bistrattata, compie un tentativo di ritornare all’origine, al suo essere luogo d’educazione a partire dall’esperienza. Non è nostra volontà che da qui escano attori professionisti o esperti di questa o quella disciplina; alla formazione in tal senso provvederanno le università, speriamo! Il nostro desiderio è che da qui escano uomini e donne in grado di assumersi delle responsabilità, di compiere scelte importanti per sé e per gli altri, di apprezzare il valore della vita. Questo laboratorio teatrale è un tassello fondamentale di questo cammino; esso si propone di rendere i ragazzi più consapevoli delle proprie potenzialità, di accrescerne l’autostima, spesso sotto i tacchi, e di rendere loro evidente che INSIEME si possono realizzare cose impensabili, BELLE e NOSTRE.
Allora, Signore e Signori, ecco a voi “Peter”: non un saggio di fine anno... ma uno spettacolo vero.
Prof. Giulio Boledi
La scelta di rappresentare “Peter Pan” con una compagnia formata da adolescenti può sembrare scontata o addirittura banale, soprattutto per la storia che il nome di questo personaggio rievoca in ognuno di noi.
In realtà è una scelta che scaturisce da alcuni spunti di riflessione, che sono diventati necessità da soddisfare. Prima di tutto, quella di riportare quest’opera alla sua dimensione originale, alle profonde motivazioni che hanno spinto l’autore a raccontare la storia del ragazzo che non vuole crescere.
Ridurre quest’opera e confinarla nei margini di una favola sarebbe un errore. Attraversando queste scene, in cui il gioco sembra l’unico elemento scenografico e il filo conduttore delle vicende narrate, si consuma un aspro conflitto tra il bene e il male. E questo dualismo così marcato accentua un senso di realtà che diventa opprimente. Il gioco, più nello specifico il gioco spensierato dell’infanzia, è il pretesto per condurci ad assaporare con sorpresa il contrasto tra il bene e il male, a tutte le età e a tutti i livelli: troviamo rappresentati i sentimenti migliori dei bambini e i loro peggiori egoismi, l’aridità di sentimenti degli adulti e contemporaneamente l’amore dei genitori per i figli, descritto nella sua semplice grandezza. Non ce ne rendiamo conto subito, ma questa analisi psicologica così lucida e quasi scientifica ci spoglia piano delle nostre difese, indebolisce le nostre certezze. Ci mostra per come potremmo essere e ci costringe a guardarci dentro, senza farci vincere dalla tentazione di chiudere gli occhi per non vedere.
E ciò che abbatte le nostre difese, le barricate poste a protezione dei nostri paletti, dei nostri punti fermi, è che Peter Pan non è un personaggio positivo come abbiamo sempre immaginato. È il personaggio in cui tutti gli elementi negativi dei bambini e degli adulti trovano il loro contenitore ideale.
Peter è il capo dei Ragazzi Perduti ma non si è perso, non è caduto dalla culla, trascurato come gli altri: lui stesso ha scelto di lasciare la casa e la famiglia, ha scelto di restare bambino. Sembra disporre del destino di tutti a suo piacimento: dei giovani Darling, dei Ragazzi Perduti, di tutta la popolazione che abita l’Isola che non c’è, un territorio immaginato che i sentimenti umani rendono estremamente reale e tangibile, a dispetto del suo nome. Anche Capitan Uncino, che dovrebbe rappresentare l’incapacità di amare dell’”adulto-genitore”, colui che dovrebbe impersonare la malvagità (non a caso Barrie chiede espressamente nelle didascalie del testo originale che il Signor Darling e Uncino siano interpretati dallo stesso attore), in realtà appare come una vittima, non solo del tempo che corre ticchettando e di un temibile coccodrillo sempre in agguato, ma soprattutto del desiderio di Peter di non crescere, prigioniero di un parco dei divertimenti costruito da un eterno bambino in cui è costretto a interpretare il ruolo di cattivo (e di unico adulto presente sull’isola): Giacomo Uncino è una creatura di Peter, la sua proiezione necessaria a perpetuare il clima di eterno gioco in cui il ragazzo ha scelto di vivere per sempre.
Questo è un testo teatrale che può dare molto, ma chiede anche tanto: a chi sceglie di rappresentarlo, agli attori, agli spettatori di ogni età, e in particolare agli adulti. Se è vero che quest’opera evoca il passaggio dall’infanzia alla vita adulta, il mondo degli adulti (e in particolare quello degli “adulti-genitori”) è trattato in modo a volte crudo e spietato, e ci costringe inevitabilmente a porci interrogativi: in veste di adulti, di genitori, di educatori.
Ma in fondo ad una storia così tragicamente vera e attuale, in cui trova spazio anche l’amore non corrisposto (ovviamente associato all’incapacità di amare, un altro dualismo senza tempo) come ennesimo elemento negativo della vita di relazione, possiamo trovare elementi positivi che possono ridarci cuore e coraggio per sperare. Benché James Mattew Barrie sia stato egli stesso un eterno bambino, segnato in modo irreparabile da una vita familiare dolorosissima e da un rapporto con gli adulti molto deficitario, trova la forza di redimere quegli stessi adulti tanto osteggiati attraverso la figura della signora Darling, quella stessa madre che a lui tanto era mancata, dopo la morte del fratello.
Inoltre, quasi tutti i personaggi di quest’opera a un certo punto rompono l’incantesimo di Peter operando scelte, prendendo decisioni autonome, accettando di crescere, di distinguere ciò che è piacevole fare da ciò che è giusto fare, scegliendo la via del ritorno alla realtà, dell’accettazione dello scorrere del tempo verso la vita adulta.
Infine, questo testo ci concede un’ulteriore possibilità: quella di rafforzare il concetto del “non tutto è come appare”, che è il motore e al tempo stesso il carburante necessario per generare interesse e curiosità. E questo deve spingerci a non accontentarci di una prima (e spesso unica) lettura superficiale delle cose, ma vincere la pigrizia, mentale ma a volte anche emozionale, per essere cittadini del mondo reale più consapevoli, curiosi, stimolati e stimolanti e, augurandolo di cuore a tutti e anche a me stesso, persone che abbiano il coraggio di accrescere le proprie percezioni.
Senza smettere di sognare.
Maurizio Caldini