Venerdì 6 Giugno 2014, i ragazzi della nostra compagnia teatrale "Benedetti Ragazzi" hanno presentato "Il Contratto" al Teatro San Matteo di Piacenza.
Tratto da "Il mercante di Venezia" di William Shakespeare e diretto da Maurizio Caldini, lo spettacolo rappresenta l'esito del laboratorio teatrale degli allievi del nostro Liceo. Realizzato con il supporto dell'insegnante Giulio Boledi.
Ciò che forse più mi è mancato in quest’anno di scuola è stato il tempo per seguire da vicino la compagnia dei Benedetti Ragazzi. In questi anni di progetto teatrale ho visto cose straordinarie e non mi riferisco solo agli spettacoli, peraltro fantastici, ma al percorso di crescita di questi allievi. Ancor più straordinario! Li ricordo, soltanto tre anni fa, alle prime armi, sbigottiti dal palcoscenico. Ebbene, oggi sono ancora qui. Chi l’avrebbe mai detto? Hanno vestito gli stracci di Jean Valjean, hanno volato con Peter verso “l’Isola che non c’è” ed oggi, sospinti da Shakespeare, giungono a Venezia per raccontarci una storia altrettanto incredibile. Alla domanda… “come ci sono risusciti?” ho trovato una sola risposta. Questi ragazzi si sono fidati, ecco il punto! Si sono fidati di chi ha più esperienza di loro, nel teatro e nella vita, di chi ha mostrato loro che una grande passione spinge fino a vette che poc’anzi credevamo irraggiungibili, di chi li ha incoraggiati a credere in se stessi, di chi, in fondo, ha loro testimoniato che la vita è bella e va vissuta in pienezza. Magia della grande letteratura? Non solo. Questo è il potere della scuola, luogo di incontro dove poter crescere e scoprire quale sia il nostro posto nel mondo. A questo proposito desidero ancora una volta ricordare il proverbio africano che il Santo Padre ha rivolto recentemente a chi vive quotidianamente la scuola: “Per educare un figlio occorre un villaggio”. Ebbene… nel “villaggio” del San Benedetto, tra genitori, insegnanti e personale non docente, abbiamo accolto da un po’ di tempo un grande educatore, il nostro scrittore e regista Maurizio Caldini, a cui va il mio personale ringraziamento per l’egregio lavoro svolto, per la grande dedizione ma soprattutto per lo sguardo attento che ha sempre rivolto a questi ragazzi “benedetti”.
Prof. Giulio Boledi
Difficile credere che la scelta di questo testo sia stata casuale e non legata alla ricorrenza dei 450 anni dalla nascita dell’autore. L’ho considerata una coincidenza fortunata, una conferma. Per il terzo anno di laboratorio, per me era fondamentale che i ragazzi potessero “gustare” (un termine che uso frequentemente durante le prove) il teatro di William Shakespeare.
Shakespeare è davvero così poco moderno? “Il mercante di Venezia” pare molto attuale: la discriminazione per esempio, religiosa nel caso specifico, è qui più interessante perché ci permette di confrontarci con i meccanismi psicologici e comportamentali sia di chi discrimina che di chi è discriminato.
E ci chiede, sia in veste di attori che di spettatori, se vogliamo schierarci con gli uni o con gli altri. I personaggi di questo dramma possono essere interpretati in modi molto diversi, e questo non facilita la scelta. Lo scontro tra Antonio e Shylock pare essere lo scontro tra un buono e un cattivo, un generoso e un avido spietato. Ma Antonio, che dovrebbe essere l’eroe positivo del dramma, non è che il primo dei personaggi ambigui che si muovono tra Venezia e Belmonte. L’ebreo, che è un personaggio malevolo, è anche discriminato e maltrattato. E qui il testo insinua un altro interrogativo attuale: fino a che punto la vendetta di chi è discriminato è giustificata e giustificabile dai torti che ha subito?
“Il mercante di Venezia” è anche un testo di contratti (da questo il titolo dell’adattamento). I personaggi si incontrano, si legano contraendo patti, restando fedeli a patti o contraendone di nuovi.
C’è il vincolo tra Antonio e Bassanio, che Bassanio è disposto a rompere per recarsi a Belmonte da Porzia; quello di Porzia stessa, che è vincolata da un contratto con il padre morto. Antonio chiede soldi all’usuraio Shylock per finanziare il viaggio di Bassanio a Belmonte. Il contratto che viene stipulato tra i due è quello che ha come penale la libbra di carne che, mancando il pagamento, Antonio dovrà offrire dal suo petto a Shylock. E ancora: Gessica rompe il contratto familiare, razziale e religioso con il padre Shylock e stipula un nuovo contratto con Lorenzo. La scelta dello scrigno genera il contratto tra Bassanio e Porzia. Antonio, sotto un’apparente clemenza, impone che Shylock accetti la sua forzata inclusione nella comunità cristiana, togliendo così all’ebreo l’unica cosa che gli resta: la sua religione, la sua cultura. Un contratto che risulta chiaramente quale contratto violento di coercizione del Diverso. E, per marcare questa differenza, nella nostra rappresentazione Shylock doveva essere interpretato da un attore diverso dagli altri: un adulto.
E poi c’è Venezia. Venezia non produce nulla, né materie prime né manufatti. La sua esistenza dipende dai profitti finanziari generati con il commercio. Una società moderna, in cui convive la legge del denaro sopra ogni altra legge, più importante anche della vita di un uomo. Tutti i personaggi, più o meno esplicitamente, ne sono dominati. Nemmeno il Doge ha il potere di alterare l’equilibrio contrattuale della Repubblica, che ne garantisce la sopravvivenza e la credibilità sul mercato internazionale, e una libertà dei Veneziani paragonabile a quella di cui godiamo noi oggi. E al tempo stesso, una discriminazione che portò, in quegli anni, alle assurde norme che regolavano la vita degli Ebrei veneziani: l’istituzione del ghetto, in cui gli Ebrei erano rinchiusi dai Veneziani cristiani dal tramonto all’alba; il copricapo rosso, che dovevano portare quando si muovevano per le calli di Venezia, per essere riconosciuti e, purtroppo, vessati. Oltre quattrocento anni fa, Shakespeare poneva questioni esistenziali che continuano a chiedere risposte: perché discriminiamo? Perché ci sentiamo superiori a qualcun altro, tanto da umiliarlo, da considerarlo inferiore, tanto da poterlo disprezzare, perseguitare? E ancora: quali sono le conseguenze delle nostre discriminazioni, ma anche delle nostre azioni in generale? Tutti i protagonisti della vicenda compiono azioni, stipulano patti, agiscono, prendendo decisioni in conseguenza di decisioni di altri. A questo si lega il contributo musicale scelto per “Il contratto”: “Life’s what you make it” significa che la vita è fatta dalle nostre scelte, buone o cattive che siano. Provate a contare quante volte l’avvocato Baldassarre-Porzia chiede a Shylock di accettare il denaro anziché ostinarsi nell’esigere la penale, pensate a quali saranno le conseguenze di quel cieco desiderio di vendetta: forse anche voi troverete il testo di questa canzone molto adatto, anche se scritto ben più tardi rispetto al “Mercante”.
All’inizio dell’anno scolastico, mi era stato detto che il motivo conduttore delle attività progettuali della scuola doveva essere “la speranza”, e il “Mercante” sembrava essere quanto di più lontano da questo tema. Dopo tanti mesi trascorsi con i ragazzi a conoscere meglio noi stessi e i nostri compagni, oltre al testo teatrale, capire quali dinamiche ci portino ad affrontare o a non affrontare esperienze o ostacoli, credo che nel lavoro che ci ha spinti a essere gruppo, chiedendoci sacrifici a livello individuale, in tutto questo viaggio che sublima in una rappresentazione, credo che ci sia una grande speranza: che tutti noi abbiamo le potenzialità per essere migliori di quello che siamo e, soprattutto, di ciò che pensiamo di essere; che troppo spesso ci appiattiamo sul giudizio di chi suppone di conoscerci perché è più comodo accontentarci, perché si fatica di meno; ma quello che ci aspetta più in là, quel luogo che abbiamo rinunciato ad attraversare perché troppo oltre alla nostra portata (presunta), è un posto che possiamo raggiungere, o almeno abbiamo l’obbligo morale di tentare di raggiungerlo. Un obbligo verso noi stessi prima che verso i nostri genitori, la scuola stessa, gli amici, la società. La speranza consiste nella possibilità, per ognuno di noi, di operare scelte, di poter credere, vivere più intensamente. Non a caso, credo, essere attore significa compiere un’azione, agire, perdere l’immobilità, uno dei mali più gravi ma anche più facilmente curabili del nostro tempo.
La speranza e l’augurio per tutti noi, e in particolare per i “miei” benedetti ragazzi, è che siamo attori della nostra vita.
Life’s what you make it.
Maurizio Caldini