Mercoledì 20 Aprile 2016, i ragazzi della nostra compagnia teatrale "Benedetti Ragazzi" hanno presentato "Il fantasma di Canterville" al Teatro San Matteo di Piacenza.
Tratto dall'omonima opera di Oscar Wilde e diretto da Maurizio Caldini, lo spettacolo rappresenta l'esito del laboratorio teatrale degli allievi del nostro Liceo.
“Siamo tutti nati nel fango, ma alcuni di noi guardano alle stelle”.
Nelle parole del grande scrittore irlandese Oscar Wilde troviamo il senso di questo lavoro realizzato dai nostri studenti. Ragazze e ragazzi capaci di “guardare alle stelle”, inseguendo l’elemento imprescindibile per la vita di ogni uomo: il desiderio. Il desiderio è un’esperienza di alterità, una vertigine che mi ustiona, mi rapisce e si soddisfa solo attraverso il riconoscimento dell’altro. Solo attraverso questo riconoscimento dell’altro possiamo trovare il senso originario della vita stessa, che si realizza tramite il miracolo della parola. Guardare questi ragazzi, impegnati nello studio e nella pratica per mettere in scena il bellissimo racconto Il fantasma di Canterville, testimonia quanto sia importante la parola nell’impianto educativo della nostra scuola. La parola che si fa corpo come strumento di bellezza e come opportunità di guardare in alto, sapendo di trovarvi risposte.
Il Preside - Fabrizio Bertamoni
E sono cinque.
Arrivato a questo punto, al quinto anno di laboratorio teatrale al liceo San Benedetto, al quinto spettacolo, sento di poter essere in queste righe forse meno professionale degli anni scorsi. Vedo giovani donne e giovani uomini, che ho conosciuto da ragazzi, appassionarsi ancora per un testo, cercare di superare i propri limiti, affrontare un’ansia buona, una prova da superare. Ne vedo altri che stanno crescendo, conosciuti più di recente, intenti a cercare di reinventarsi, di ripetere un’esperienza faticosa con la fiducia che il premio sia qualcosa da ricordare, ancora una volta. E poi nuovi allievi, alcuni molto giovani, che si affidano a quello che sentono uscire dalle nostre bocche, quello che leggono nei nostri occhi, e affrontano questa prova con una speranza che cerca conferme. E poi c’è una scuola che si trova in difficoltà.
Sì, perché, se lavora per tutti questi ragazzi in una preziosa unione di intenti, rischia di cadere nella retorica: ma “fare tutto questo per i ragazzi” è un’ovvietà importante, qualcosa di banale in cui una scuola per fortuna deve cadere. E il liceo San Benedetto accetta davvero di buon grado questo ruolo, iniettando passione, e idee, e lavoro. In mezzo a tutto questo ci sono io, che non mi sento né insegnante, forse neanche adulto fino in fondo, e men che meno giovane. Vedo l’impegno di tutte queste persone confluire in una mia idea, infondere potenza e forza in un progetto, che prima sembra sempre troppo ardito e, dopo, lo sembra sempre troppo poco. E, alla fine, prende vita uno spettacolo divertente, fatto di personaggi strampalati: una famiglia americana, gli Otis, che acquista un castello in Inghilterra e scopre che dovrà convivere con un fantasma; un fantasma, abituato a spaventare coinquilini e visitatori, che scopre, suo malgrado, che i tempi sono cambiati e che forse proprio il suo tempo è finito; uno spettro che viene portato a questa convinzione dai pestiferi gemelli e dal solerte figlio maggiore, abile a cancellare la centenaria macchia di sangue sul pavimento, segno indelebile (prima dell’avvento dello smacchiatore Pinkerton, ovviamente!) di un efferato delitto. Poi c’è una fanciulla, la giovane Virginia, che prova pena per il fantasma e, benché atterrita, decide di accorciare la distanza tra la modernità d’oltreoceano e le rigide tradizioni inglesi, cerca di superare le apparenze, si sforza di conoscere e comprendere qualcuno enormemente diverso da lei, arrivando al punto di aiutarlo, rischiando la propria vita. Gli altri personaggi, gli antagonisti inglesi (la contessa di Canterville, l’anziana governante, il giovane futuro lord), fanno tutti parte di una tradizione in bianco e nero che pare lasciare spazio a un imminente futuro a colori.
Dietro questo racconto umoristico e dissacrante, Oscar Wilde cela per lungo tempo una storia di discriminazione affrontata e risolta, il desiderio che la società, in cui iniziano a far breccia il consumismo e la modernità, trovi il modo e il cuore per non fermarsi alle apparenze, che non sia giudicante ma comprensiva, sia per un fantasma, che sconta una condanna all’eternità per un delitto di cui si è macchiato in vita, o per una zingara, che viene accusata in quanto tale, senza prova che abbia commesso alcun reato. Allora, forse, Oscar Wilde, oltre a farci divertire, ha anche qualcosa da dirci: un piccolo, prezioso suggerimento per provare ad essere persone migliori, in qualsiasi mondo e in qualsiasi tempo.
Sipario.
Maurizio Caldini